giovedì 6 dicembre 2012

Il demiurgo


Globuli rossi

Liquami, putredine, pus, plasma, sangue. Aberrazioni umane compiute, nascoste da un lembo di carne. Non credevo che un solo corpo potesse contenere tanta materia fusa. Nascosta com’è dalla carne, essa non si rivela. Un essere umano intero la trattiene. Certo, non è che non avessi mai visto scorrere del sangue. Ma la signora Paoletti, quella sua bocca che restava sempre leggermente socchiusa, la signora Paoletti, dico, riversa nei suoi liquami, non mi era mai sembrata così fragile.
- Mi mancherà tanto - disse il sindaco con la valigetta in mano. - Qui dentro ci sono tutte le indicazioni e il denaro, naturalmente. Addio. - Si allontanò frettolosamente. Di certo non immaginava quanta melma sua moglie potesse contenere. Ma io sì, io lo so. E la signora Paoletti era fresca dopo la messa in piega del venerdì pomeriggio, girava in paese con l’aria stralunata, si guardava le punte dei capelli, attenta a non sciupare la fragile architettura di boccoli che la sovrastava.


La signora Paoletti torna a casa con le buste della spesa. Prova quasi vergogna per l’impeto con cui si dirige verso il bagno e si cala i pantaloni attillati. Espletare i più comuni bisogni fisiologici è una condanna per una dea come lei. Ma bisogna comunque passarci per le strade dell’umanità ferina, per quelle vie che ricordano anche al più reticente degli esseri viventi che siamo solo orpelli con un bisogno quotidiano di privarsi del superfluo. La signora Paoletti, ridotta al nocciolo della sua esistenza, ora è solo liquame espunto. Eppure faceva la sua bella figura, agghindata come una bambola di ceramica, sottobraccio al Sindaco nelle foto del giornale.

Non mi sento in colpa. Perché dovrei? Tutti siamo colti in un infinitesimo attimo di debolezza quando nasciamo. E io sono nato due volte. La prima, quando sono stato privazione, eiezione programmata di una donna. La seconda, quando ho cominciato ad uccidere. Qui, tra le pendici di queste montagne slavate, non c’è spazio per me nei titoli dei giornali. Io non esisto. Il sesso si trascina dietro storie quotidiane, le scava nella loro brutalità, e riempie pagine di inchiostro e bocche indiscrete. Qui la storia degli “amanti incastrati” ha retto per due settimane in prima pagina: scribacchini poco noti hanno indagato nell’infanzia degli infortunati consumatori di rapporti carnali, ne hanno mostrato le improbabili perversioni, le vicissitudini che dalle stanze riverse sulla montagna conducono in un giaciglio vergognoso, a fondersi con una donna che concede se stessa all’inutilità. Non più espulsione, ma completamento. Non c’è spazio e non c’è tempo per la mia opera salvifica. La signora Paoletti, in una grazia ancora non sfiorita, non regge alle crude pantomime del sesso.

Io uccido per non soccombere. Carnalità, passione, morbosità non mi appartengono. Appena ho stretto quella valigia nelle mie mani, tutto ciò che consideravo umano mi era già alieno. È per questo che non ho vacillato nemmeno un istante, nemmeno quando ho trovato la signora Paoletti lì, seduta sul water, nella più ineluttabile delle situazioni. È stato solo un attimo, quello in cui le ho letto sul volto l’esitazione. Coprirsi o fuggire, salvaguardare il pudore o difendersi. Essere umano o bestiale. Dev’essere stato in quell’istante che Adamo ha scelto di peccare per sempre. Ed è stato nell’istante in cui la signora Paoletti scappava ancora semisvestita che ho deciso, definitivamente, che l’avrei vista a brandelli.

Un animale razionale deve onorare fino in fondo il suo compito sulla terra. Figuriamoci tra le montagne, tra queste montagne, che parlano vite non loro e se le rimbalzano di neve in neve. Appartiene all’uomo la vergogna, la custodia di un tesoro circoscritto, la volontà di difenderlo a costo di se stessi. Al di là di questo, c’è il resto dell’inanimato. Non me la sono mai presa con le prostitute. Non avrebbe senso. Inveire con chi questo forziere immacolato deve esibirlo per soldi. Non c’è umanità sotto una gonna sdrucita da troppe mani. Ma la signora Paoletti poteva scegliere e ha scelto di alzarsi in piedi e di correre via con i pantaloni ancora abbassati, la signora Paoletti si è data ad una fuga savanica lasciando che le sue prerogative le scivolassero addosso e allora io, solo io, potevo cercargliele sotto la carne quelle prerogative, potevo ridurre il suo corpo nuovamente a liquido espulso, esploso, allo stato primordiale della nascita come privazione. Suo marito lo sa, ed è per questo che ha fatto di me il demiurgo.

Ieri la storia delle escort pagate con i soldi del Comune ha conquistato il suo quarto titolone consecutivo. Non accade mai niente in questa provincia. Il freddo sembra aver congelato le azioni ed esse, di giorno in giorno, si ripetono rivendicando a se stesse una presunta originalità. Questo luogo non è uno spaccato della nazione, non è lo specchio del popolo chiamato Italia. Potremmo essere in Cina o altrove: l’unica cosa che ci contraddistingue è la festa parrocchiale di fine maggio. Forse oggi tra le vallate sprecheranno un po’ di inchiostro anche per me. Ci vuole poco a diventare la provincia di sangue, il luogo dei crimini efferati. Anche noi saremo quelli dei vicini di casa della “brava persona”, dell’“educato” salutatore di vecchiette indiscrete, dell’“onesto lavoratore” tutto Dio e famiglia. Diranno che l’hanno trovata in una caldera di sangue, diranno che non sapevano chi fosse, diranno che non hanno potuto distinguere un orecchio da un polmone. Diranno che il Sindaco è svenuto quando ha visto com’era ridotta la loro stanza da letto e che durante l’omelia ha invocato giustizia.

Io ho ricreato questo mondo. Non siamo più quelli della festa parrocchiale. La stampa nazionale tra un’agenda e l’altra siede serena nei nostri ristoranti e si masturba nelle nostre stanze d’albergo. Raccontano di una provincia rimossa, di un luogo meraviglioso e inesplorato che è ancora Italia, di una grande tradizione folkloristica e persino del santo patrono in processione. Com’è possibile che l’atroce dimori proprio tra queste vallate incontaminate, com’è possibile. Diranno che da tempo il Sindaco aveva chiesto un finanziamento pubblico per una funivia, diranno che glielo hanno rifiutato perché in questi dimenticatoi non viene mai nessuno, che era giusto che restassimo isolati ad accoppiarci tra cugini, negli anni ’50 ci hanno studiati come aberrazioni genetiche. Com’è possibile che lo Stato non sia interessato a tendere la mano verso questi luoghi, com’è possibile. Il presidente X, il premier Y e il ministro della difesa Z giungeranno qui in elicottero perché le strade sono crollate l’anno scorso. Com’è possibile, diranno, com’è possibile.

Nulla di ciò era possibile e io l’ho reso reale. Un reale all’infinito. Le fiaccolate, le commemorazioni, le lapidi erette a futura memoria, il Sindaco che solo dopo anni si risposerà e saluterà il paese dalla nuova funivia che conduce qui, nello zero assoluto della vita reale. È questa l’umanità. È questo il regno della pietas. Com’è possibile. Non lo so. Ma ci sto bene, in fondo, nel futuro prevedibile scalfito dall’atroce perché so che, in cambio di tutto questo, nessuno pronuncerà il nome del benefattore, il mio nome. Io non esisto, io sono un simbolo.

Chiudo la saracinesca del negozio, lo agghindo un po’ per le feste. Tra poco è Natale. Domani avremo nuovi avventori. I loro taccuini avranno fame di verità. Nella mia genetica non c’è alcuna traccia di un passato di incestuoso sesso proibito. Magari nei titoli ci sarà posto per le mie splendide confezioni natalizie.

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