lunedì 17 dicembre 2012

La morale


fiori di campo prato fiorito

Sandro trovò Romeo schiantato al suolo con la testa sanguinante. Lo guardò un po’. Era morto. Corse sopra a chiamare Alberto che se ne stava in pantofole di fronte alla TV.

-          Albé, Romeo…
-          Che ha fatto Romeo?
-          È morto! S’è lanciato dal balcone!

Alberto non gli credeva. Scese in veranda e scoprì Romeo immobile, con le zampette adagiate da un lato.

-          L’hai lanciato tu di sotto?
-          E come facevo a lanciare un gatto dal primo piano?
-          Lo hai attirato con qualcosa e lui ti è corso dietro…

Era scettico, Alberto, eppure Sandro era suo fratello e non aveva mai polemizzato per quel gatto. Romeo ci aveva provato varie volte a scappare da quel metro quadro al primo piano, e durante la notte miagolava alle stelle prima di atterrare di sotto e correre via. Ma Alberto e Renata lo avevano sempre riacciuffato, e il giorno dopo Romeo faceva di nuovo la spola sulla ringhiera verde, camminando in bilico tra schiavitù e libertà. Questa volta, però, era diverso. Sembrava che Romeo non avesse nemmeno provato ad atterrare con le zampe ritte e che si fosse buttato sul cemento di testa, come per porre fine ad un inutile istinto di sopravvivenza.

-          Dimmi la verità Sandrì, sei stato tu?

Nemmeno stavolta Alberto gli credeva. Ma Sandro diceva la verità, come tanti anni prima, e anche in quell’occasione Alberto si era arrabbiato ed era corso da Renata, che smentiva tutto e urlava le sue maledizioni contro il cognato visionario. Eppure nel canneto non c’era solo Sandro, perché Alessio giocava giù nel fiume e l’aveva sentita la mamma, lui sì che l’aveva sentita. A quel tempo non c’era l’autostrada, e dietro casa gli unici rumori di un sogno di bambino erano lo scorrere impercettibile del fiume e la marmitta scassata della Cinquecento di Guerriero, che abitava lì vicino e non sapeva fare la doppietta.

Renata correva veloce e si teneva la gonna tra le canne per non strapparla. E quando usciva Renata arrivava anche Giannino, dalla casa di fianco, che chiudeva lentamente il cancelletto sul retro e scendeva al fiume con le galosce al ginocchio. Alessio l’aveva vista la mamma, tirarsi su la gonna e mostrare le cosce pelose, e Giannino le si premeva addosso con foga quei due o tre minuti, mugolando un po’ prima di fermarsi. Poi tornavano a vigilare nel silenzio e si rivestivano in fretta, Giannino si sporcava gli stivali nel fango e Renata fuggiva a casa con un palmo di margherite, con cui ogni giorno riempiva il centrotavola della sala da pranzo. Quando Alberto tornava dal cantiere, stanco morto di polvere, si fermava ad annusarle, ed era contento così, anche se sua moglie la notte si girava dall’altra parte, perché aveva una casa fiorita di fresco e il sapore del fiume tra la biancheria.
Alessio c’era andato qualche volta al canneto e si era portato dietro pure Fabio, che ancora non sapeva parlare. Dicevano in paese che stava crescendo su un po’ tocco, ma non dicevano nulla quando Renata lo picchiava sulla testa con la scopa. Alessio strillava come un maiale scannato e lei gli ripeteva “Ma che cazzo ti dice ’ssa coccia?” e gli salmodiava che era un bambino stupido e bugiardo, e che stava troppo appresso allo zio Sandro, cattivo e linguacciuto come l’erba gramigna. Alessio glielo aveva detto al papà quello che aveva visto nel canneto, e glielo aveva raccontato pure Sandro, che lo sapeva com’era Giannino e che andava a nascondere il membro duro tra le gambe di sua moglie. Ma Alberto si incazzava come una iena quando sentiva chiamare sua moglie “puttana” e sbraitava se Sandro curava la fronte di Alessio, martellata di bastonate. “Sei invidioso perché tua moglie non se la incollerebbe nessuno” rispondeva “con quei peli neri che le pendono sotto il naso” e un po’era vero che Linda aveva i baffi , ma erano vere anche le ferite di suo figlio, e Renata per non sentirli litigare prendeva la macchina e sgommava in prima, scomparendo nel polverone.

Verso i quindici anni Alessio aveva lasciato la scuola e si era messo a fare l’elettricista. Era un ragazzone bruno con l’andatura da orso, ma tutti sapevano che era un grandissimo lavoratore e chiamavano lui per i lavoretti di casa. Alessio riparava ogni marchingegno in pochissimo tempo senza sporcare nulla, si chinava a terra sugli attrezzi e i pantaloni gli scendevano mostrando lo spacco peloso del culo.
-          Mamma, questa è Laura. Io me la sposo. – sentenziò Alessio un giorno, entrando in casa.
Si era incazzata di nuovo, Renata, e avrebbe voluto massacrarlo di botte anche da grande, ma Alessio era diventato grosso come un toro e la allontanava da sé con un braccio solo. Non ci poteva credere che quella era sua nuora, così grassa che manco il diavolo se la portava via, fasciata da una tunica nera troppo larga che la faceva somigliare a un abat-jour.
“Donna grassa non fa figli!” ripeteva Renata, ma ad Alessio non importava e quando affondava le braccia tra le pieghe del corpo di Laura era contento come un bambino e gli sembrava di avere accanto la bambola di carne più bella che c’è.
Alessio e Laura si sposarono e andarono a vivere poco lontano. La sera, prima di rientrare a casa, Alessio si fermava al supermercato e le comprava un cioccolatino, un biscotto, una caramella. Poi suonava il campanello e si nascondeva dietro la confezione, e quando Laura lo vedeva, tutto rosso con le mani protese, gli buttava le braccia al collo e rideva della sua fiaba di cioccolato.
Poi una sera alle nove Alessio non era ancora tornato e Laura prese la macchina e corse da Renata.
-          Si sarà stufato di una grassona come te – aveva risposto la suocera, che non sapeva che in due anni
di matrimonio avevano sempre dormito abbracciati, col respiro che si fondeva in mezzo al lettone. Fabio, invece, mise in moto la macchina e rifece a 10 all’ora la strada verso il supermercato e si fermò solo quando vide la Punto scura del fratello sotto il burrone, con il tettuccio che affondava nell’erba umida. Alessio non c’era. Alessio era sparito, scappato, impazzito, rapito, ammazzato, arrabbiato, soggiogato, minacciato, sequestrato. Fabio ci tornò anche il giorno dopo, alla luce del sole, battendo la campagna pezzo per pezzo, con Laura che urlava il nome di suo marito dalla strada e nessuno rispondeva. Ma Alessio era lì, sepolto sotto l’auto rovesciata, e Fabio se ne accorse solo quando vide quel piede poggiato sull’erba, appena fuori dalle lamiere.

Adesso ce l’aveva Renata il tocco in testa, perché le era venuto l’ictus, e Alberto guardava la moglie sfiorita nel letto, con il viso perennemente in una smorfia di dolore. Quel figlio un po’ ingenuo lo aveva pianto come un’indemoniata, mentre Giannino al funerale si era nascosto in fondo alla chiesa ed era corso a casa prima della benedizione.
Alberto accudiva la moglie come si fa con una bambina, ora che non poteva più sgommare in macchina per non sentire la vergogna.
-          Fatto bene! – biascicavano i vecchi tra le gengive – Ai bambini non si mena in testa. – 

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