Tra le realtà locali
italiane, sicuramente l’Emilia Romagna si configura come uno dei pochi casi in
cui arte e politica restano fortemente ancorate al territorio, trovando in esso
una linfa vitale che porta a sintesi letterarie di notevole livello. Nell’anno
del 150° dell’Unità d’Italia, infatti, il dibattito sull’identità
politico-culturale del nostro Paese resta ancora aperto, senza tuttavia
impedire l’emergere di straordinarie realtà “di provincia” che, sommate,
rendono la Penisola un insieme di storie, tradizioni e fatti politici che
scavano a fondo nell’anima di ogni territorio.
È così che dall’Emilia paranoica osannata dai CCCP di Lindo Ferretti si giunge all’“Emilia Postletteraria”, in cui la scrittura è densa di memoria del passato e porta con sé l’occhio critico dell’artista. Postmoderna, post-strage, post-sessantottina: l’Emilia Romagna della parola romanzata non perde il legame con l’attualità e con le ferite che l’hanno segnata e, grazie alla scrittura, svela le trame della propria fragilità.
La vicenda biografica e
letteraria di Pier Vittorio Tondelli colloca questo autore nello spazio-tempo
della Reggio Emilia degli anni ’80, in pieno postmoderno. Dall’esordio vincente
di Altri libertini (1980), una
raccolta di racconti graffiante e appassionata, fino al romanzo Rimini (1985), l’Emilia Romagna di
Tondelli è teatro di non-luoghi, di voci corali che raccontano una generazione,
di amori omosessuali narrati con scanzonata libertà. In Rimini la riviera romagnola, con le sue contraddizioni e i suoi
clichés, diventa terra di rifugio quasi esotico, nella quale si annidano le
vicende di un giornalista inviato speciale alla ricerca dello scoop estivo, di
una fuga iniziata in Germania per giungere in Riviera, di un gruppo di
produttori cinematografici da ombrellone.
Tra le avventure dei
personaggi in un luogo dove tutto può diventare realtà, la colletta degli
aspiranti cineasti tra le file di ombrelloni riminesi a caccia di fondi per il
primo film si trasforma nello spettacolo della fine del mondo, servito
comodamente con il mare sullo sfondo. È così che la Rimini di Tondelli svela la
sua natura di luogo del puro apparire, in un meccanismo costruito per il
divertimento dello spettatore. L’Apocalisse preannunciata non si consumerà mai,
l’inserto giornalistico speciale in preparazione non sarà mai realizzato e
svaniranno anche i progetti di produzione del film, nelle parole con cui
Tondelli ci consegna l’inconsistenza del day
after: «Il sole splendeva alto nel cielo, la gente prendeva il bagno
sguazzando e divertendosi. […] Ma l’incubo era passato e la gente tornava a
divertirsi, a cercare di trovare un nuovo modo per divertirsi.».
La Bologna che scorre tra le
pagine di Loriano Macchiavelli è quella bagnata dal sangue del 2 agosto 1980.
Quando Strage arriva in libreria è il
28 maggio 1990, lo stesso 28 maggio in cui si celebra a Bologna il processo
d’appello contro gli esecutori della strage di 10 anni prima. Il 3 giugno, dopo
appena 7 giorni di permanenza, il romanzo viene ritirato dal commercio su
denuncia di uno degli imputati al processo, sentitosi chiamato in causa dalle
ricostruzioni storiche e dalla costruzione dei personaggi. Può l’immaginazione
di uno scrittore essere tanto vicina alla realtà?
Eppure Macchiavelli sarà
assolto il 15 ottobre del 1991, sulla base del diritto di cronaca e di critica:
Strage, infatti, racconta ipotesi di
intrighi e complotti dietro le tragiche vicende dell’80 sulla base di alcuni
dati emersi nelle indagini di quegli anni, in un mix di storia, attualità e
narrazione che l’autore stesso definisce “fantasia”.
Il romanzo torna così in
libreria nel maggio del 2010, praticamente inedito e, nel trentennale del più
grave attentato terroristico che l’Italia abbia subito dal dopoguerra, Bologna rivive
tragicamente le ferite di un eccidio non ancora chiarito, dalla preparazione
del complotto alla stazione fino all’inquinamento delle prove.
Il tempo narrativo di Strage è infatti scandito da un “prima”,
da un “durante” e da un “dopo”. Gli anni di piombo, le vicende della banda
della Magliana, la potenza delle mafie ma, soprattutto, la corruzione dei
servizi segreti e della politica convergono nella Bologna del 2 agosto, quando
un ordigno spezza 85 vite e consegna all’Italia una città affranta. Tutti i
nodi vengono al pettine alle 10.25 e, per cercare quelle ragioni che hanno
portato a tanto sangue, Loriano Macchiavelli scava dalla Svizzera al delta del
Po, da Palermo alla Guyana francese. Ma la Bologna tra le pagine di Strage è quella che ha fatto la storia,
non più leonessa ferita, ma punta di estrema dignità, e l’autore si lascia seguire
tra i vicoli del centro, mentre immagina un passato tra letteratura e realtà.
È stato grazie all’ironia che
Stefano Benni ha reso universali le piccole manie dell’italiano medio, partendo
da un qualsiasi Bar Sport che diventa emblema della vita sociale di provincia,
insieme alle “macchiette” che lo caratterizzano. In ogni romanzo il prolifico
scrittore bolognese crea un sostrato onirico e un fervido impasto narrativo tra
avvenimenti surreali ed ironia, conditi da un microcosmo linguistico singolare,
secondo il quale immergersi nella lettura di Benni equivale a possedere il
codice dei neologismi dello scrittore fino all’ultima pagina, partecipando così
al miracolo della letteratura. La formula sembra essere di sicuro impatto,
almeno in opere come Prima o poi l’amore
arriva (1981), La compagnia dei
Celestini (1992), Elianto (1996)
e Bar Sport (1997). Tuttavia, la
verve intimista e riflessiva di Benni si fa strada ad esempio nel Bar sotto il mare (1987) o ne La grammatica di Dio (2009), due
raccolte di racconti con le quali lo scrittore bolognese mette a nudo la
quotidianità, rivelandone aspetti tragici e punte di umorismo pirandelliano.
Il momento in cui i due
filoni narrativi si incontrano segna il radicamento di Benni sul territorio dal
quale proviene e coincide con l’uscita di Saltatempo
(2001), una protostoria dell’Italia dal boom ai primi anni ’70 attraverso lo
sventramento della montagna emiliana. La vicenda di Saltatempo, calata tra
realtà e immaginazione, inizia negli anni ’50 in un luogo montano indefinito
nell’Appennino emiliano; tra profezia, magia e attualità, il protagonista vive
l’insinuarsi del progresso attraverso la costruzione dell’autostrada,
l’edilizia selvaggia e abusiva, l’inquinamento dei fiumi e la frana che schiaccerà
il paese uccidendo suo padre. Le prime pagine del romanzo conducono il lettore
verso il mondo immaginario di Benni, in cui vocaboli come “scarpagnare” e
“schizzozibibbo” riproducono il codice linguistico che accompagnerà i
personaggi di pagina in pagina: tuttavia, la verve fantastica dell’autore lascerà
presto spazio alla più matura riflessione sull’attualità, dalle prime
occupazioni studentesche fino al ’68 parigino, vissuto in un monolocale a
Montmartre.
Tra le pagine di Saltatempo Stefano Benni vomita un
fervore politico senza precedenti, consegnato alle vicende dei suoi personaggi:
ci sono il vecchio Karamazov, convinto della superiorità dei Russi in ogni
campo, ma anche i circoli studenteschi che giudicano meticolosamente l’indice
di “borghesità” di ogni affermazione, ci sono una popolazione a cui le pale
scavatrici ruba pian piano il paesaggio e la missione di un ragazzo, che lotta
per difendere la cosa giusta. In questo ecosistema che è l’Emilia Romagna del
secondo dopoguerra, Benni termina la narrazione, lasciando al lettore la
sensazione che essa non possa concludersi una volta chiuso il libro. Nelle
vicende di Saltatempo, infatti, sono
racchiuse le storie di molti borghi italiani, a cui l’Emilia fa da specchio
letterario, e in essi si ripercuote la violenza con cui la storia si abbatte
sulla periferia.
I luoghi del pensiero di
Tondelli, Macchiavelli e Benni sono ovunque. In un’Italia frammentata nelle
tante dimensioni locali, smembrata in mille periferie di un centro difficile da
individuare, ognuno ha la sua Rimini, il suo giorno di dolore e la sua lotta
per il territorio. Forse, è tra le pieghe della quotidianità nel grande tessuto
storico di ogni luogo che si nasconde l’Italia vera, quella che istituzioni e
politica vogliono farci sentire lontana. È così che il dibattito sull’identità
trova, ancora una volta, la sua risposta nella letteratura, che per secoli ha
rappresentato il collante della nostra nazione. Un’Italia, mille Italie, o
forse molti vicoli attraverso i quali lasciarsi accompagnare dagli occhi
appassionati di uno scrittore.
Pubblicato su www.libertadivolare.it
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