Sandro trovò Romeo schiantato al suolo con la testa
sanguinante. Lo guardò un po’. Era morto. Corse sopra a chiamare Alberto che se
ne stava in pantofole di fronte alla TV.
-
Albé, Romeo…
-
Che ha fatto Romeo?
-
È morto! S’è lanciato dal balcone!
Alberto non gli credeva. Scese in veranda e scoprì Romeo
immobile, con le zampette adagiate da un lato.
-
L’hai lanciato tu di sotto?
-
E come facevo a lanciare un gatto dal primo
piano?
-
Lo hai attirato con qualcosa e lui ti è corso
dietro…
Era scettico, Alberto, eppure Sandro era suo fratello e non
aveva mai polemizzato per quel gatto. Romeo ci aveva provato varie volte a
scappare da quel metro quadro al primo piano, e durante la notte miagolava alle
stelle prima di atterrare di sotto e correre via. Ma Alberto e Renata lo
avevano sempre riacciuffato, e il giorno dopo Romeo faceva di nuovo la spola
sulla ringhiera verde, camminando in bilico tra schiavitù e libertà. Questa
volta, però, era diverso. Sembrava che Romeo non avesse nemmeno provato ad
atterrare con le zampe ritte e che si fosse buttato sul cemento di testa, come
per porre fine ad un inutile istinto di sopravvivenza.
-
Dimmi la verità Sandrì, sei stato tu?
Renata correva veloce e si teneva la gonna tra le canne per
non strapparla. E quando usciva Renata arrivava anche Giannino, dalla casa di
fianco, che chiudeva lentamente il cancelletto sul retro e scendeva al fiume
con le galosce al ginocchio. Alessio l’aveva vista la mamma, tirarsi su la
gonna e mostrare le cosce pelose, e Giannino le si premeva addosso con foga
quei due o tre minuti, mugolando un po’ prima di fermarsi. Poi tornavano a
vigilare nel silenzio e si rivestivano in fretta, Giannino si sporcava gli
stivali nel fango e Renata fuggiva a casa con un palmo di margherite, con cui
ogni giorno riempiva il centrotavola della sala da pranzo. Quando Alberto
tornava dal cantiere, stanco morto di polvere, si fermava ad annusarle, ed era
contento così, anche se sua moglie la notte si girava dall’altra parte, perché
aveva una casa fiorita di fresco e il sapore del fiume tra la biancheria.
Alessio c’era andato qualche volta al canneto e si era
portato dietro pure Fabio, che ancora non sapeva parlare. Dicevano in paese che
stava crescendo su un po’ tocco, ma non dicevano nulla quando Renata lo
picchiava sulla testa con la scopa. Alessio strillava come un maiale scannato e
lei gli ripeteva “Ma che cazzo ti dice ’ssa coccia?” e gli salmodiava che era
un bambino stupido e bugiardo, e che stava troppo appresso allo zio Sandro,
cattivo e linguacciuto come l’erba gramigna. Alessio glielo aveva detto al papà
quello che aveva visto nel canneto, e glielo aveva raccontato pure Sandro, che
lo sapeva com’era Giannino e che andava a nascondere il membro duro tra le
gambe di sua moglie. Ma Alberto si incazzava come una iena quando sentiva
chiamare sua moglie “puttana” e sbraitava se Sandro curava la fronte di
Alessio, martellata di bastonate. “Sei invidioso perché tua moglie non se la
incollerebbe nessuno” rispondeva “con quei peli neri che le pendono sotto il
naso” e un po’era vero che Linda aveva i baffi , ma erano vere anche le ferite
di suo figlio, e Renata per non sentirli litigare prendeva la macchina e
sgommava in prima, scomparendo nel polverone.
Verso i quindici anni Alessio aveva lasciato la scuola e si
era messo a fare l’elettricista. Era un ragazzone bruno con l’andatura da orso,
ma tutti sapevano che era un grandissimo lavoratore e chiamavano lui per i
lavoretti di casa. Alessio riparava ogni marchingegno in pochissimo tempo senza
sporcare nulla, si chinava a terra sugli attrezzi e i pantaloni gli scendevano
mostrando lo spacco peloso del culo.
-
Mamma, questa è Laura. Io me la sposo. –
sentenziò Alessio un giorno, entrando in casa.
Si era incazzata di nuovo, Renata, e avrebbe voluto
massacrarlo di botte anche da grande, ma Alessio era diventato grosso come un
toro e la allontanava da sé con un braccio solo. Non ci poteva credere che
quella era sua nuora, così grassa che manco il diavolo se la portava via,
fasciata da una tunica nera troppo larga che la faceva somigliare a un
abat-jour.
“Donna grassa non fa figli!” ripeteva Renata, ma ad Alessio
non importava e quando affondava le braccia tra le pieghe del corpo di Laura
era contento come un bambino e gli sembrava di avere accanto la bambola di
carne più bella che c’è.
Alessio e Laura si sposarono e andarono a vivere poco
lontano. La sera, prima di rientrare a casa, Alessio si fermava al supermercato
e le comprava un cioccolatino, un biscotto, una caramella. Poi suonava il
campanello e si nascondeva dietro la confezione, e quando Laura lo vedeva,
tutto rosso con le mani protese, gli buttava le braccia al collo e rideva della
sua fiaba di cioccolato.
Poi una sera alle nove Alessio non era ancora tornato e
Laura prese la macchina e corse da Renata.
-
Si sarà stufato di una grassona come te – aveva
risposto la suocera, che non sapeva che in due anni
di matrimonio avevano sempre dormito abbracciati, col
respiro che si fondeva in mezzo al lettone. Fabio, invece, mise in moto la
macchina e rifece a 10 all’ora la strada verso il supermercato e si fermò solo
quando vide la Punto scura del fratello sotto il burrone, con il tettuccio che
affondava nell’erba umida. Alessio non c’era. Alessio era sparito, scappato, impazzito,
rapito, ammazzato, arrabbiato, soggiogato, minacciato, sequestrato. Fabio ci
tornò anche il giorno dopo, alla luce del sole, battendo la campagna pezzo per
pezzo, con Laura che urlava il nome di suo marito dalla strada e nessuno
rispondeva. Ma Alessio era lì, sepolto sotto l’auto rovesciata, e Fabio se ne
accorse solo quando vide quel piede poggiato sull’erba, appena fuori dalle
lamiere.
Adesso ce l’aveva Renata il tocco in testa, perché le era
venuto l’ictus, e Alberto guardava la moglie sfiorita nel letto, con il viso perennemente
in una smorfia di dolore. Quel figlio un po’ ingenuo lo aveva pianto come
un’indemoniata, mentre Giannino al funerale si era nascosto in fondo alla
chiesa ed era corso a casa prima della benedizione.
Alberto accudiva la moglie come si fa con una bambina, ora
che non poteva più sgommare in macchina per non sentire la vergogna.
-
Fatto bene! – biascicavano i vecchi tra le
gengive – Ai bambini non si mena in testa. –
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